I grandi rosati italiani, viaggio tra i vitigni e l’identità di un vino in ascesa

C’è stato un tempo in cui il vino rosato era considerato un compromesso, una via di mezzo poco nobile tra il bianco e il rosso, un esperimento poco convincente per chi non sapeva bene da che parte stare. Ma oggi, quel pregiudizio è tramontato. I rosati italiani stanno vivendo una stagione d’oro, grazie alla riscoperta del loro potenziale enologico e all’attenzione crescente di enologi, sommelier e consumatori più consapevoli. Non sono più vini “facili” o “estivi”, ma espressioni territoriali autentiche, capaci di raccontare, attraverso il bicchiere, il carattere del vitigno e l’identità della terra in cui sono nati.
A differenza di quanto avviene in Francia, dove la Provenza domina il mercato mondiale del rosé con uno stile riconoscibile e standardizzato, l’Italia propone una moltitudine di espressioni diverse, figlie della biodiversità ampelografica e della ricchezza territoriale che la contraddistinguono. Non si può parlare di un solo rosato italiano, ma piuttosto di molti rosati, diversi per vitigno, tecnica di vinificazione, tradizione e clima. In questo panorama eterogeneo, conoscere i vitigni autoctoni da cui nascono i migliori rosati è fondamentale per apprezzarne davvero il valore.
Nel Sud Italia, la patria storica dei rosati è la Puglia. Qui il Negroamaro, vitigno dal carattere austero e dal colore intenso, dà origine a rosati di straordinaria struttura e profondità. Il suo profilo olfattivo è spesso dominato da note di ciliegia matura, erbe mediterranee e talvolta sfumature salmastre, segno della vicinanza al mare. Le tecniche di vinificazione moderne hanno alleggerito la sua potenza, permettendo di ottenere rosati eleganti, freschi e capaci di lunga vita in bottiglia. Non a caso, alcune delle denominazioni più affermate d’Italia in materia di rosato provengono proprio da questa regione.
Sempre nel Sud, in Campania, il vitigno Aglianico, noto per la sua potenza tannica e longevità nei rossi, sorprende in versione rosata. Il rosato di Aglianico non è un vino banale: ha una personalità spiccata, con aromi di frutti rossi, pepe rosa e talvolta una vena minerale che riflette i suoli vulcanici della regione. È un vino gastronomico, adatto ad accompagnare piatti di una certa complessità, e rappresenta una delle declinazioni più interessanti del rosato italiano.
Spostandoci verso il Centro, troviamo un altro protagonista inaspettato: il Sangiovese. Uva simbolo della Toscana, famosa per i suoi Chianti e Brunello, il Sangiovese in versione rosata rivela un’anima più gentile e floreale. Le versioni migliori conservano l’acidità spiccata del vitigno, con note di melagrana, petali di rosa e un tocco agrumato che le rende estremamente versatili. Nella zona del lago Trasimeno, al confine tra Umbria e Toscana, il rosato da Sangiovese si arricchisce anche dell’influsso del Gamay del Trasimeno, una varietà affine alla Grenache, che aggiunge rotondità e profumi intensi.
Nel Nord Italia, il Pinot Nero è il protagonista indiscusso dei rosati eleganti e raffinati. Coltivato soprattutto in Alto Adige e in alcune aree vocate dell’Oltrepò Pavese, questo vitigno dà origine a rosati pallidi, dal profilo olfattivo fine e complesso. Si distinguono per la delicatezza delle note di fragolina di bosco, ribes e scorza d’arancia, e per una struttura acida che ne garantisce la piacevolezza anche a distanza di anni. In Alto Adige, in particolare, la tradizione del rosato prende il nome di “Kretzer” ed è parte integrante della cultura vinicola locale, soprattutto quando il Pinot Nero viene vinificato in purezza o in blend con uve locali.
Ma tra i rosati più sorprendenti d’Italia, un posto speciale lo merita il Chiaretto, tipico delle zone che si affacciano sul lago di Garda. Qui il vitigno Corvina, accompagnato spesso da Rondinella e Molinara, viene vinificato con una brevissima macerazione sulle bucce, dando vita a rosati sottili, dai riflessi rosa tenue e dal profilo aromatico fresco, floreale e agrumato. La zona del Bardolino, in particolare, ha investito molto negli ultimi anni per valorizzare il Chiaretto come vino identitario, moderno e capace di parlare a un pubblico giovane e internazionale. I produttori hanno adottato una comunicazione innovativa e uno stile enologico coerente, rilanciando l’immagine del rosato gardesano sui mercati esteri.
A testimoniare la rinascita del rosato italiano c’è anche un ritorno all’antico. Alcune denominazioni storiche, come il Cerasuolo d’Abruzzo, hanno mantenuto viva una tradizione rosata che non è mai stata di moda ma che oggi viene finalmente rivalutata. Il Cerasuolo nasce dal Montepulciano d’Abruzzo, uno dei vitigni più generosi e pigmentati d’Italia. Non è un rosato “chiaro”, ma un vino dalla colorazione intensa, quasi rubina, che conserva parte della struttura del rosso ma con una beva più agile e aromi fruttati e vinosi. È un vino che sfida le classificazioni, e per questo affascina gli appassionati più curiosi.
I rosati italiani, dunque, non sono un’imitazione dei rosé francesi né una moda passeggera. Sono il frutto di una precisa volontà di valorizzare i vitigni autoctoni attraverso tecniche di vinificazione moderne, ma sempre rispettose della materia prima. Le fermentazioni a basse temperature, i pressaggi soffici e i tempi controllati di contatto con le bucce hanno permesso di ottenere vini sempre più precisi, puliti e coerenti con l’identità del territorio.
Secondo i dati dell’OIV (Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino), l’Italia è oggi uno dei principali produttori mondiali di rosato, con una produzione stabile e in costante crescita qualitativa. Le guide enologiche più autorevoli, come Slow Wine, Gambero Rosso e DoctorWine, hanno cominciato da anni a dedicare spazio e attenzione a questi vini, segnalando quelli più rappresentativi e premiando le aziende che hanno saputo interpretare il rosato con intelligenza e visione.
Parlare dei grandi rosati italiani significa parlare di autenticità, sperimentazione, rinascita culturale. Dietro ogni rosato c’è una scelta precisa di stile, una valorizzazione del vitigno e un racconto territoriale che merita di essere ascoltato. Non resta che versarne un calice, lasciarsi guidare dal colore, dai profumi e dal gusto, e scoprire quanti volti può avere il rosa nel panorama enologico italiano.